venerdì 29 agosto 2014

Canzone della triste rinuncia‏, di F. Guccini


Le luci dentro al buio sono andate via

e l'allegria comprata è già sparita.

Il giorno dopo è sempre la malinconia

che spezza la magia di un'altra vita.

La forza che ti lega è grande più di te

l'anello al collo si stringe sempre più

non dare più la colpa al mondo o a lei

per la rinuncia triste a quello che non sei.

Lo sai cosa vuol dire stare giorni interi

a buttar via nel niente solo il niente?

Fai mille cose ma sono sempre i tuoi pensieri

che scelgono per te diversamente.

Son stanco d'aver detto le cose che dirò

di aver già fatto le cose che farò

ma è tardi, troppo tardi per piangere ormai

sulla rinuncia triste a quello che non fai.

Credevo l'incertezza, possibilità

e il dubbio assiduo l'unica ragione

ma quali scelte hai fatto in piena libertà?

Ti muovi sempre dentro a una prigione.

Non è la luce o il buio né l'ero ed il sarò

non è il coraggio che ti fa dir "Vivrò"

è solo un'altra scusa che usare vuoi

per la rinuncia triste a quello che non puoi.

Non voglio prender niente se non so di dare

Io e chissà chi decidono ciò che posso.

Non ho la voglia o la forza per poter cambiare

me stesso e il mondo che mi vive addosso.

E forse sto morendo e non lo so capire

o l'ho capito e non lo voglio dire

rimangono le cose senza falso o vero

e la rinuncia triste a quello che io ero.


http://www.testitradotti.it/canzoni/francesco-guccini/canzone-della-triste-rinuncia

giovedì 28 agosto 2014

Sgozzati dal multiculturalismo, di Giulio Meotti

Parla Scruton: “I terroristi islamici vengono dal nostro vuoto che fa sbadigliare”. Lo Stato islamico ha scelto un inglese per l’esecuzione di Foley per “testimoniare l’assoluto rigetto dell’identità occidentale”

“L’assassino di James Foley è il prodotto del multiculturalismo inglese”. Era coperto il volto del decapitatore dello Stato islamico di Iraq e Siria che ha tagliato la testa al reporter americano. I servizi britannici ritengono che sia un rapper inglese, “John il jihadista”, come era stato inizialmente identificato il terrorista islamico. Si tratterebbe di Abdel Majed Abdel Bary, un membro del gruppo britannico conosciuto come “The Beatles” che ha lasciato la casa di famiglia in un elegante quartiere della capitale inglese un anno fa per combattere al fianco dei jihadisti.

Secondo il filosofo e commentatore Roger Scruton, fra le voci più note e ascoltate d’Inghilterra, dietro a quella lama c’è “una politica che ha portato alla frammentazione sociale. E’ questo il multiculturalismo. L’islam non accetta il dominio laico della legge e per questo germoglia nell’Europa ultra secolarista. I killer di Iraq e Siria sono musulmani che credono che Dio li abbia autorizzati a uccidere e la loro religione non dà a nessuno l’autorità di fermarli. Tutto quello che il multiculturalismo ha ottenuto è distruggere una cultura pubblica condivisa, e al suo posto ci ha messo un vuoto che fa sbadigliare. Il più grande bisogno umano non è la libertà, come pensano i liberal, ma l’obbedienza, come hanno capito i musulmani. Giovani delle minoranze islamiche, come quelli che nell’estate del 2005 uccisero cinquanta persone innocenti a Londra, sono i prodotti della follia multiculturale. E’ come se il Vecchio continente non avesse nulla da offrire loro”. Mesi fa venne fatto circolare dallo Stato islamico un video della propaganda dalla Siria: “Non mi sono mai sentito tanto musulmano quanto adesso”, ripete un cittadino belga nel filmato.

D’accordo con Roger Scruton l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, il quale ieri ha denunciato “un multiculturalismo che ci ha portato soltanto sharia, delitti d’onore e mutilazioni”. Sarebbero inglesi cinquecento degli oltre duemila musulmani con passaporto europeo andati a fare il jihad in Siria e Iraq. Secondo Charlie Cooper, un ricercatore della Quilliam Foundation, lo Stato islamico ha scelto un inglese per l’esecuzione di Foley per testimoniare al mondo “il completo rifiuto della nazionalità britannica”. Come se la decapitazione fosse la celebrazione di uno scisma. I terroristi inglesi sono “i più efferati” in Siria e Iraq, secondo Shiraz Maher, analista del King’s College di Londra. E per rimarcare il fenomeno, il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond ha detto che questi sudditi di Sua Maestà sono anche coloro che “commissionano le atrocità”. Altro che manovalanza europea. Sono europee le menti dei bagni di sangue di cristiani, yazidi, sciiti e cittadini americani.

“Esportavamo libertà, oggi terroristi”

Abdul Waheed Majeed, un padre di tre bambini di Crawley, nel Sussex, si è appena fatto esplodere ad Aleppo. Uno dei tanti inglesi morti sul suolo siriano e iracheno negli ultimi mesi. Ieri il quotidiano Daily Mail pubblicava le fotografie di una comitiva di musulmani inglesi all’aeroporto di Gatwick. Sorridono e hanno un biglietto di sola andata per Antalya, Turchia, una delle porte d’accesso per la guerra santa. Vengono tutti dalla cittadina inglese di Portsmouth. Trenta inglesi ogni mese lasciano Londra per il “Jihad Express”. La loro vita media sui campi di battaglia è di tre giorni. Un paradosso ben sintetizzato da Douglas Murray sullo Spectator: “Il paese che ha esportato la libertà in tutto il mondo adesso esporta terrorismo”. Un nichilismo che ha il volto di un teenager islamico con passaporto francese, la maglietta di Dolce & Gabbana, il Corano e un fucile nell’altra mano. Europei che dicono di andare a “espiare i peccati”. La morte è la loro ricompensa. I peccati sono quelli dell’Europa. La voce che li ha declamati a James Foley, nella sabbia di Raqqa, aveva un accento da “multicultural London English”.

mercoledì 27 agosto 2014

Tutto il male della beneficenza è spiegato dal Vangelo (Matteo 19,19), di Camillo Langone

Non era mia intenzione parlare di secchiate, sono un uomo elegante. Sempre mi ha ripugnato il gavettone, in ogni sua forma: scherzo da caserma o da ferragosto, comunque scherzo da villani e da maschi privi di accesso alla bellezza. Il gavettone mediatico poi. Il gavettone solidale è ancora più schifoso perché maschera la violenza (il gavettone è violento anche se autoinflitto) con la bontà, strumentalizzata, umiliata e distrutta pur di giustificare uno spettacolino osceno. Ma non era mia intenzione parlare di secchiate, dicevo. Piuttosto vorrei parlare di beneficenza. Vaffanculo la beneficenza. La beneficenza come presentemente la si pratica è innanzitutto un ladrocinio, e lo ha spiegato l’economista Walter Block: “Beneficenza è per definizione una vocazione spontanea. Se un individuo viene costretto a donare non è uno che fa beneficenza ma è la vittima di un furto”. Siamo continuamente ricattati. Se non fai beneficenza agli invasori africani pagando le tasse (ogni invasore accolto in Sicilia costa al contribuente 2.400 euri al mese secondo alcuni calcoli, un po’ meno secondo altri, comunque tanti) ecco che arriva lo stato e ti sequestra casa, macchina, conto corrente. Se non versi l’obolo alla zingara incinta fuori dalla chiesa o dentro il treno ecco che sei cattivo. Se non compri la rosa zozza dall’asiatico che ti disturba mentre ceni al ristorante con l’amata ecco che sei spilorcio e antiromantico.
 Mi allontanano dalla beneficenza indiscriminata la mia sensibilità, in cui credo molto, e l’unico maestro, in cui credo di più: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Da questa esortazione evangelica ne ricavo che Dio mi chiede in primo luogo di amare me stesso. Basta questo, secondo me, per escludere la possibilità di rovesciarsi o farsi rovesciare in testa acqua gelata, o detriti come a Gaza, o qualsiasi altra cosa che non siano petali di fiori. Dignità, questa sconosciuta… In secondo luogo Dio mi chiede di amare il mio prossimo. E quindi non il lontano: il vicino. Non l’umanità: i famigliari, gli amici, forse i condomini, al limite i concittadini. Ed è già difficilissimo. Se fatichiamo a sopportare i nostri famigliari, i nostri amici, i nostri condomini, i nostri concittadini, come possiamo anche solo immaginare di amare tutte le genti? La mia interpretazione di Matteo 19,19 non è soltanto mia, è del monaco benedettino Elmar Salmann, dell’ebreo convertito al cattolicesimo Ivan Illich, del biblista Sergio Quinzio: “Non solo per l’Antico Testamento ma anche per Gesù il precetto di amare il prossimo vale solo in riferimento a coloro che sono prossimi nella stessa comunione, stesso popolo, stessa fede. Nei Vangeli non si parla certo di un amore universale esteso a tutti gli uomini”. Non se ne parla proprio di amore universale e lo affermano studiosi che a differenza di me conoscono greco ed ebraico, magari pure l’aramaico, e che alla Sacra Scrittura hanno dedicato la vita. E allora perché la gente immagina che sia così? Perché la beneficenza agli sconosciuti risparmia di guardare in faccia il bisogno dei conosciuti, chiaro. Le astrazioni sono sempre più comode della realtà. Ecco quindi fiorire elargizioni sostitutive della vera carità: fai una donazione a Gino Strada e lasci che la nonna finisca in ospizio, fai una donazione a Medici senza frontiere e dimentichi di andare a trovare tuo padre in ospedale, fai una donazione alla Lav e ti volti dall’altra parte se un’amica abortisce. Quando la beneficenza si misura a secchi, le opere di bene si misurano col contagocce.